Don Mussie Zerai, eritreo di Asmara, classe 1975, don Mosè per tutti, denominato l’angelo dei profughi, profugo anch’egli a Roma a 17 anni nel 1992,  definito un pioniere dal Time nel 2016.

Don Zerai, fondatore e presidente di Habeshia detta il salvagente dei migranti, ha sempre offerto assistenza telefonica a chi si accinge a partire, avvertendo le autorità quando imbarcazioni che attraversano il Mediterraneo si trovano in difficoltà per organizzare il salvataggio.  “Il numero di padre Zerai è scritto sui muri delle prigioni libiche, nei capannoni dei trafficanti, sulle pareti dei cassoni dei camion che attraversano il deserto”, si legge nel libro La frontiera curato con Alessandro Leogrande. Una prassi consolidata e del tutto legale che il sacerdote ha costantemente seguito, in mare, fin da quando i migranti erano detenuti nella Libia del rais Gheddafi, e, in terra, quando lanciava l’allarme per i disgraziati che finivano nelle mani degli spietati predoni beduini trafficanti di organi nel deserto egiziano del Sinai. Abba Mussie Zerai, candidato nel 2015 al premio Nobel per la pace e indagato nel 2017 dalla Procura di Trapani per il gravissimo reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, accusato di essere complice della delinquenza schiavista, torturatrice e pluriomicida contro la quale egli stesso si adoperava senza risparmio. Cinque anni di accuse menzognere, alimentate dal primitivo clima politico elettorale italiano di quegli anni, con accuse infondate sui maggiori quotidiani italiani – fatti salvi Avvenire e Il Manifesto – intercettazioni telefoniche al limite del lecito, e, finalmente, la caduta di ogni accusa a maggio di quest’anno. Don Mosè a cui molti uomini e donne di Stato italiani dovrebbero chiedere perdono se avessero risorse per capire che l’atroce manovra dell’uso della carne umana per il proprio potere alle volte accomuna delinquenti comuni, politici di stati democratici e spietati dittatori in giacca e cravatta o kimono e cintura nera.

Don Mosè  uomo consacrato a Dio e dedicato a quelli che noi definiamo gli ultimi e per lui sono i primi; Mussie Zerai, con una visione del mondo tanto profonda e ricca quanto diversa dalla nostra, la nostra limitata dall’ottica occidentale che ereditiamo come una malattia endemica.