Gianluca Biggio 

Abstract

L’articolo illustra il lavoro svolto a nell’ambito del Progetto di Ricerca Europeo denominato “Probationet”, cui hanno partecipato Grecia, Italia, Portogallo, Bulgaria e Turchia dal 2021 al 2024.

L’obiettivo del progetto è stato di approfondire il tema della Giustizia Riparativa nei paesi partner partecipanti all’iniziativa e in Europa in generale. L’essenza della Giustizia Riparativa consiste nel dare la possibilità agli autori di reato di avviare un processo di riparazione individuale e sociale alternativo alla detenzione, coordinato da esperti con differenti denominazioni nei diversi paesi.

 

L’Italia ha partecipato a un Progetto Europeo Erasmus Plus in collaborazione con Portogallo, Grecia, Bulgaria e Turchia. Il Progetto iniziato nel 2021 e terminato nel 2024 era denominato:

«PROBATIONET: a flexible, multidisciplinary, and transnational VET model for the PROBATION services and practitioners.

In nota mostriamo la locandina della presentazione realizzata recentemente attraverso un workshop in presenza e on line con la partecipazione funzionari del Ministero di Giustizia che hanno partecipato al progetto, esperti in campo psicoanalitico e giuridico, operatori sociali interessati alla tematica

Da decenni si parla di Giustizia Riparativa e di Probation in Italia (Mazzuccato, 2003; Palmisano 2015; Mannozzi, Lodigiani, 2017). L’essenza di questo tema consiste nella possibilità di offrire all’autore di un reato, minore o adulto che sia, la possibilità di riparare la pena attraverso un percorso di riabilitazione gestito da personale specializzato. In Italia dalle Assistenti Sociali del Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità e nei paesi partner da figure denominate Probation Officer (operatori sociali con formazione pedagogica e supervisionati dai rispettivi Ministeri di Giustizia).

In particolare, l’Italia ha riportato l’esperienza di una procedura definita “Messa alla Prova” che viene applicata per coloro che hanno commesso reati da minorenni, processo gestito dalle Assistenti Sociali del Dipartimento USSM (Uffici di Servizi Sociali per i Minorenni) che si occupa specificamente dei minori, all’interno del più ampio Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (DAP).

In base alle nuove norme, un minore che segua con successo un percorso di riabilitazione può avere la cancellazione della pena a fine percorso, senza che rimangano tracce a livello di curriculum giudiziario. I percorsi di riabilitazione possono durare tre e più anni e vedono fortemente coinvolta la famiglia e i servizi sociali territoriali ai quali le Assistenti Sociali USSM si appoggiano per supporti di vario genere.

 

La base legislativa del Sistema di misure alternative al carcere per i minori in Italia 

Si basa – come detto – sul sistema di “Messa alla Prova” introdotto nel 1988 con l’entrata in vigore del D.P.R. 448/88, prima per i minorenni e successivamente, dal 2021 attraverso la legge delega Cartabia del 27 settembre 2021 n. 134, anche per gli adulti (Dei-Cas 2021). La prima attenzione al trattamento dei minori in difficoltà si può rintracciare nella creazione dei Tribunale per i Minorenni (decreto del 20 aprile 1934 e successive modifiche) e con l’istituzione dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni (legge 888/56 con successive modifiche del 16 luglio 1962). Il sistema delle misure alternative al carcere, nato con la riforma del sistema penitenziario e l’istituzione di misure comunitarie in alternativa alla reclusione, è disciplinato dalla legge n.354 del 26 luglio 1975.

Gli interventi attivati mirano a sostenere i ragazzi coinvolti nei procedimenti penali in percorsi di consapevolezza e responsabilizzazione, lavorando allo stesso tempo su interventi di prevenzione della recidiva. Nella stessa direzione l’Ufficio di Servizio Sociale per gli Adulti mira a scoraggiare la ripetizione dei reati, attraverso percorsi di responsabilità basati su un dialogo e la fiducia con l’autore del reato, riducendo così il rischio di recidiva e preparando i trasgressori al reinserimento sociale dal punto di vista relazionale, sociale e lavorativo.

Desideriamo di seguito approfondire e chiarire il concetto di Giustizia Riparativa (RJ, Reparative Justice) così come fatto in collaborazione con i partner europei del progetto sopracitato che hanno curato la stesura di quattro Manuali.

Manuale 1: Introduzione alla RJ

Manuale 2: Valori fondamentali e principi della RJ

Manuale 3: Preparazione di una sessione di RJ

Manuale 4: Comprendere e facilitare una sessione di RJ.

Successivamente vorremo svolgere alcune riflessioni di carattere psicologico (provenienti dal progetto europeo) e di carattere psicoanalitico, legate all’appartenenza professionale del Responsabile Scientifico italiano del progetto Probationet e alla formazione di molte Assistenti Sociali del Ministero di Giustizia Italiano che hanno collaborato al progetto stesso.

 

Giustizia Riparativa: definizioni generale e finalità

Definizioni

Il concetto di giustizia riparativa è stato ampiamente trattato in letteratura, tuttavia non esiste una definizione totalmente comprensiva. Di conseguenza, esistono diverse definizioni, ognuna delle quali contribuisce alla comprensione di questo complesso termine.

Per la seconda edizione del “Manuale sui programmi di Giustizia Riparativa” dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, la RJ è:

“una risposta flessibile, partecipativa e di risoluzione dei problemi al comportamento criminale, che può fornire un percorso complementare o alternativo alla giustizia”.

Il documento sottolinea che il concetto di RJ fornisce una via diversa alla giustizia per coloro che commettono atti criminali, per le vittime e per la comunità, sottolineando che la RJ incoraggia la partecipazione delle vittime al processo di risoluzione del danno causato dando, al contempo, l’opportunità a coloro che si assumono la responsabilità degli atti compiuti di affrontare l’impatto delle loro azioni violente su coloro che hanno danneggiato.

In questo senso, la RJ è un approccio globale che comprende una serie di metodi per affrontare le conseguenze del crimine e promuovere la giustizia per le vittime, per gli individui che hanno commesso un reato e per le comunità. Questo approccio pone gli interessi delle vittime al centro delle pratiche, in contrasto con i sistemi tradizionali di giustizia, che si concentrano principalmente sulla reazione ritorsiva verso l’atto criminale.

Allo stesso modo, Zehr (2002) sostiene che, sebbene il termine “Giustizia Riparativa” comprenda un’ampia gamma di programmi e pratiche, nel suo nucleo esso è “un insieme di principi, una filosofia, un insieme alternativo di domande paradigmatiche”, che offre un quadro alternativo per valutare i reati. Secondo l’autore, dal punto di vista della RJ, il crimine è una violazione delle persone e delle relazioni, e la giustizia deve includere la vittima, l’individuo che ha commesso un reato e la comunità nella ricerca di riparazione, riconciliazione e sicurezza.

Questo approccio onnicomprensivo riconosce che il crimine ha effetti di vasta portata che vanno oltre l’ambito della legge. Sottolinea l’importanza di rispondere ai bisogni, alla guarigione e al recupero delle vittime, riconoscendo al contempo gli effetti significativi del reato su di loro. Pertanto, la RJ promuove la possibilità di comprensione, responsabilità e riparazione attraverso conversazioni e interazioni gestite da consulenti mediatori professionali con le persone che hanno commesso un reato.

Il Manuale sui Programmi di Giustizia Riparativa redatto nell’ambito del Progetto Europeo        Probationet conferma questa concezione, affermando che la RJ è un approccio alla risoluzione dei problemi che, nelle sue varie forme, coinvolge la vittima; in questo senso, la RJ affronta il danno causato alle vittime, ritenendo i colpevoli responsabili e coinvolgendo la comunità nella risoluzione dei conflitti.

È importante sottolineare il concetto di RJ portato dalla Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, che all’articolo 2 indica che per RJ “si intende qualsiasi processo in cui la vittima e l’autore del reato sono messi in condizione, se liberamente acconsentono, di partecipare attivamente alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato attraverso l’aiuto di una terza parte imparziale”.

Inoltre, il Forum Europeo per la Giustizia Riparativa (EFRJ) (2021) conferma che: “ la RJ è un metodo per affrontare l’ingiustizia o la minaccia di danno riunendo tutti coloro che sono stati danneggiati al fine di stabilire un accordo su come riparare il danno o il torto e raggiungere la giustizia”.

Inoltre viene anche sottolineato che nel corso del tempo le definizioni di RJ hanno adottato diverse posizioni, privilegiando i risultati o il processo della RJ:

a) i valori e i principi della pratica pertinenti al processo di RJ, come il consenso volontario delle parti a partecipare e l’enfasi sul raggiungimento di un accordo, sono al centro delle definizioni orientate al processo.

b) le definizioni orientate al risultato si concentrano sulle soluzioni per raggiungere la giustizia.

Questi criteri riflettono anche la posizione assunta negli ultimi anni dalla RJ, che pone l’accento più sulle possibilità di ripristinare le concezioni sociali di giustizia e sicurezza che su tecniche e procedure specifiche.

Nonostante la molteplicità delle definizioni di RJ, alcuni valori fondamentali sono stati adottati dalla comunità internazionale ed evidenziati dall’EFRJ (2021), fungendo da guida per comprendere l’idea alla base del concetto e orientare i processi di RJ.

Questi principi sono giustizia, solidarietà, dignità umana, verità, riparazione del danno, volontarietà, inclusività del processo, partecipazione attiva, impegno delle parti coinvolte e riservatezza.

 

Obiettivi della Giustizia Riparativa

Considerando la diversità dei concetti di RJ discussi sopra, è importante notare che i principi comuni permeano i vari approcci e che sono alla base dei propri obiettivi. In questo senso, la RJ serve due scopi più ampi e interconnessi, anche se le tecniche variano in modo significativo e si sono sviluppate nel tempo.

In primo luogo, le vittime e le comunità possono trovare il modo di riparare al dolore, al trauma e ai danni subiti.

In secondo luogo, gli autori di reato hanno l’opportunità di redimersi e di reintegrarsi efficacemente nella società riducendo così la recidiva e proteggendo la società.

La RJ opera come un insieme di principi guida con obiettivi tangibili, uno dei quali è quello di ripristinare il danno fatto coinvolgendo tutte le parti interessate in un processo di comprensione attraverso un dialogo volontario e onesto, e adottando un nuovo approccio ai conflitti e al loro controllo, pur mantenendo alcuni obiettivi riabilitativi.

Infine i Manuali di Giustizia Riparativa dello United Nations Office on Drugs and Crime, redatti nel 2020, sottolineano il fatto che tutti i programmi di RJ generalmente fanno riferimento alle seguenti componenti di base:

Obiettivi dei programmi di giustizia riparativa
Sostenere le vittime, dando loro voce, ascoltando le loro storie, incoraggiandole a esprimere bisogni e desideri, fornendo loro risposte, consentendo di partecipare al processo di risoluzione e offrendo loro assistenza.
Riparare le relazioni danneggiate dal crimine, in parte, raggiungendo un consenso su come rispondere al meglio.
Riaffermare i valori della comunità e denunciare i comportamenti criminali.
Incoraggiare l’assunzione di responsabilità da parte di tutte le parti interessate, in particolare da parte dell’autore del reato.
Identificare i risultati riparativi e lungimiranti.
Prevenire la recidiva incoraggiando il cambiamento nei singoli autori di reato e facilitando il loro reinserimento nella comunità.

Sviluppo della Giustizia Riparativa in Europa

A partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, la RJ si è affermata in modo significativo in Europa, portando all’implementazione di legislazioni su questo tema in vari Paesi (Palmisano, 2015). Fin dall’inizio degli anni Novanta con la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa [ R.1992/16] sulle Regole europee sulle sanzioni e misure applicate in area penale esterna si è giunti alla definizione del termine Community Sanction come sanzione che mantiene il reo nella società e comporta alcune restrizioni della sua libertà attraverso l’imposizione di condizioni e obblighi, la cui applicazione deve essere basata sulla gestione di programmi personalizzati e lo sviluppo di un’appropriata relazione.Nell’ottobre 1999 l’EFRJ (European Fórum of Reparative Justice) ha organizzato la conferenza inaugurale a Lovanio, in Belgio, riunendo rappresentanti di 24 Paesi (European Fórum of Reparative Justice, 2000). L’EFRJ, attraverso le sue pubblicazioni, fornisce preziosi approfondimenti sullo sviluppo storico della RJ nel continente europeo.Secondo l’articolo dell’EFRJ intitolato “L’idea della giustizia riparativa e come si è sviluppata in Europa” scritto da Ivo Aertsen (2024), le origini della RJ in Europa sono da ricercare negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.

Il dibattito su come affrontare gli effetti dei crimini che coinvolgevano direttamente la vittima e l’autore del reato ha preso piede in quel periodo. Diverse nazioni europee iniziarono a studiare tecniche di risoluzione dei conflitti con potenziali soluzioni innovative.

Parallelamente, lo sviluppo della RJ in Europa è stato influenzato in modo significativo dalla nascita di esperienze di mediazione tra vittima e reo in Canada e negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta[1]. Gli operatori in Europa sono stati ispirati e istruiti da queste innovative attività nordamericane, che hanno avviato la cooperazione internazionale.

Lo scambio di informazioni ed esperienze tra Nord America ed Europa (Katz, Bonham, 2006) è stato cruciale nell’influenzare lo sviluppo della RJ, contribuendo all’espansione e al miglioramento di queste pratiche.

A differenza dei Paesi anglosassoni, dove la RJ si è sviluppata soprattutto (ma non esclusivamente) sotto forma di “conferenze di gruppo familiari”, nei Paesi europei la “mediazione vittima-reo” (VOM, Victim-Offender-Mediation), definita anche “mediazione penale”, è diventata il modello il principalmente applicato.

Il concetto era nuovo per gli operatori del diritto e per i responsabili delle politiche di giustizia penale e richiedeva tempo per essere accettato. Nella maggior parte dei Paesi ci sono voluti più di dieci anni per stabilire delle pratiche pertinenti. Come sottolineato dall’EFRJ, l’attuale modello di VOM ha avuto inizio negli anni Ottanta, con un progetto pilota sviluppato in Norvegia nel 1981 e applicato in Finlandia nel 1983. In Austria, dove è denominata “risoluzione extragiudiziale del reato”, il modello è stato sviluppato prima nei tribunali minorili (1988) e poi nei tribunali penali.

Analogamente alla sua comparsa negli Stati Uniti, in Germania i programmi di RJ hanno iniziato a svilupparsi rapidamente a metà degli anni Ottanta e alla fine degli anni Novanta contavano più di 400 servizi. In Francia, dove le iniziative sono iniziate a metà degli anni Ottanta, la mediazione è stata inizialmente associata all’assistenza alle vittime, anche se in seguito la RJ si è sviluppata in modo più esplicito come parte delle misure applicate agli autori di reato. Questo è accaduto anche in Belgio all’inizio degli anni Novanta.

Sebbene il numero di casi trattati con la mediazione  sia rimasto limitato, molte iniziative su piccola scala e programmi nazionali hanno dimostrato che questo metodo di reazione al crimine aveva un elevato potenziale inventivo e, in seguito, altri paesi hanno completato il variegato panorama europeo.

In passato i Paesi del Sud Europa, come Portogallo, Spagna, Italia, Croazia e Grecia, hanno dovuto affrontare ostacoli dovuti alla mancanza di basi legislative o di politiche nazionali.

Attualmente la legislazione di Portogallo, Croazia e Spagna, così come quella di altri Paesi europei come Belgio, Paesi Bassi, Finlandia, Danimarca, Svezia, Svizzera ed Estonia, contempla già la possibilità di utilizzare la RJ come fattore attenuante nella sentenza, consentendo un impatto reale sulla politica criminale; inoltre, in Spagna, Portogallo e Italia, così come in altri Paesi, esiste anche la possibilità di implementare le pratiche di RJ all’interno delle carceri, dopo la condanna.

Dal 2006, la Grecia ha introdotto nella sua legislazione la mediazione penale per i casi di violenza domestica e l’Italia ha approvato nel 1988 una legge nel campo della giustizia minorile che consente il rinvio dei casi a programmi di mediazione vittima-carnefice.

Dal 2002, l’Italia ha una legislazione che consente ai Giudici di Pace di risolvere le controversie in base all’esito di un processo negoziato tra le parti, in una procedura che enfatizza il ruolo della vittima nella risoluzione del conflitto, ruolo in precedenza trascurato nei procedimenti penali ordinari del sistema nazionale.

È infine importante evidenziare altre  enunciazioni giuridiche di grande rilevanza per l’argomento che possono essere consultati per approfondire la questione:

  • le risoluzioni del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) sulla giustizia riparativa del 2000 e del 2002
  • la decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio d’Europa sulla posizione della vittima nel procedimento penale
  • la già citata direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio
  • la raccomandazione rivista del Consiglio d’Europa (CM/Rec(2018)8) sulla Giustizia Riparativa in materia penale.

 

Considerazioni psicoanalitiche attorno ai temi della pena, responsabilità e riparazione: un passaggio possibile

Per far emergere il precipitato epistemologico che il Progetto Probationet ha sul soggetto che ne è coinvolto, è necessario un deciso cambio di passo. Consapevoli che in ogni traduzione di un testo parte delle sfumature di senso necessariamente muteranno, avvicineremo ora il tema attraverso l’ottica psicoanalitica.

Oggi noi viviamo in unsistema in cui vi è un Ordinamento Giudiziario, ovvero un ordine istituzionale che stabilisce quali siano le infrazioni alla legge, quale gravità abbia l’infrazione e quale debba essere il risarcimento sociale (la pena) che l’autore di reato debba pagare per riparare la colpa di cui si è fatto carico. Questo è il sistema della moderna giurisdizione che si è affermata in Italia e in Europa a partire dalla seconda metà dello scorso millennio.

Cesare Beccaria scrisse il trattato “Dei delitti e delle pene” nel 1764-1766. Le moderne costituzioni degli stati sono nate con le rivoluzioni del Seicento e Settecento. Le costituzioni hanno stabilito l’esistenza di diritti naturali, inalienabili e universali, che lo Stato ha il compito di riconoscere e garantire. Per un approfondimento sui sistemi penali pre-moderni vi è una vasta letteratura: segnaliamo ad esempio il contributo di Garcon (1922).

Nell’antichità il criterio prevalente di giustizia era a discrezione del padrone o, più tardi, del feudatario che decideva la pena per lo schiavo o anche per il familiare. Nel medioevo venivano applicati sistemi di punizione come la “gogna”, la “gabbia sospesa”, le frustate pubbliche, o l’applicazione di pesanti ceppi ai ritenuti colpevoli e così via. Il concetto di riparazione era ben lontano e l’avvento di un primo codificato sistema giuridico istituzionale rappresentò un progresso e una premessa alle attuali teorie di riabilitazione.

Il termine pena (giudiziaria) è in qualche modo auto esplicativo: a fronte di una violazione di un diritto che regola la convivenza sociale, basata sulla concezione di organizzazione moderna ed efficiente della burocrazia, introdotta da Weber (1904-5), il “reo” deve subire un’ammenda, pagare un riscatto che va dal risarcimento economico sino alla detenzione carceraria.

Nel film del regista inglese Madden “Shakespeare in love” (1988), la religiosissima Regina Elisabetta I concede generosamente a un suddito che aveva scritto un libretto di protesta, che gli venga risparmiata la vita e gli venga solamente mozzata la mano che aveva scritto il testo ribelle.

Questo esempio appare a noi, oggi, molto lontano (anche se pene simili sono applicate nel diritto islamico). A ben pensare è un principio semplice che riflette quello antico della punizione per insegnare l’educazione o le buone norme; sculaccione per la bugia e carezza per una buona azione.

Spesso ci dimentichiamo quanta parte del nostro sistema educativo (familiare e scolastico) abbia una base di condizionamento comportamentale.

Faccio non a caso questi esempi dato che tale modalità psicopedagogica che potrebbe essere avvicinata al comportamentismo o al modello cognitivo comportamentale è quella che è stata prevalentemente utilizzata negli interventi di riabilitazione nei Paesi partner che hanno partecipato al progetto Probationet. In una parte dei Manuali sulla RJ, sopracitati, si parla chiaramente di riabilitazione CBT (Cognitive Behavioral Therapy) per gestire aspetti di comportamenti immaturi e disfunzionali e favorire il “rimorso” e la responsabilizzazione degli offender che accettano la riabilitazione.

La visione psicoanalitica della riparazione non è contraria ai cui fini ultimi della CBT, ma possiamo dire che la visione psicoanalitica, diversamente da quella comportamentale, non parte dalla ricerca immediata di un risultato operativo comportamentale, seppure ricercato attraverso relazioni rispettose ed empatiche da parte dei colleghi della CBT.

Credo che la visione psicoanalitica parta dal concetto di riparazione come cuore interno del Sé della persona. La Klein fu forse la prima psicoanalista a usare il termine riparazione seppure riferito ai primissimi stati evolutivi della relazione madre-bambino (Klein, 1929; Klein, Riviere, 1953). Il sentimento e la possibilità di riparare l’oggetto primario dopo averlo attaccato è la premessa per uno sviluppo sano e il germe di quello che poi potrà essere definito senso di colpa, responsabilità, senso morale.Lo stesso Winnicott nel suo saggio “L’uso dell’oggetto” (1960), ci fa notare la differenza tra essere in relazione con l’oggetto e l’uso dell’oggetto. Essere in relazione con l’oggetto significa essere in relazione con le proprie fantasie relative all’oggetto, ma non con l’oggetto reale.

Quando il bambino si accorgerà che l’oggetto della fantasia non corrisponde all’oggetto reale potrà distruggere dentro di sé l’oggetto fantastico e questa distruzione permetterà la possibilità di rivolgersi e utilizzare l’oggetto reale.

La fase transizionale è una fase in cui il bambino gioca con l’illusione di una presenza. Viene rassicurato da questa illusione e al tempo stesso inizia a prefigurare un uso dell’oggetto reale. La distruzione dell’oggetto fantastico è in qualche modo connessa con la distruttività presente nell’ego precoce del bambino nella fase schizo-paranoide secondo Klein.

Winnicott dà la possibilità di ricostruzione di un oggetto in armonia con il concetto di riparazione che segue la fase depressiva in Melania Klein.

In un’ottica psicoanalitica la riparazione è qualcosa che avviene dentro prima che fuori. Come può un reo riparare una offesa su una vittima se non ha rivisitato e rinforzato la capacità riparativa interiore? Questo è un dilemma descrittoci da molte Assistenti Sociali italiane che hanno una formazione orientata analiticamente e svolgono spesso gruppi di supervisione e intervisione con analisti.

I termini del dilemma potrebbero essere così descritti: “Possiamo considerare un pensiero onnipotente quello di migliorare le capacità riparative? Bisogna invece accontentarsi di rinforzare una sincera buona volontà nel reo?”.

Talora le risposte ai dilemmi non debbono essere dilemmatiche ma situazionali: ovvero, con l’ausilio di una buona valutazione iniziale (fase di assessment) e di un supporto psicologico istituzionale qualificato in alcuni casi si può sperare di svolgere un lavoro approfondito e in altri accontentarsi di una “riabilitazione” minima indispensabile o comportamentale.

Infine credo che nel lavoro di riparazione, occorra non trascurare altri due aspetti: quello del gruppo sociale e quello della responsabilità.

Sappiamo quanto la psicoanalisi di gruppo e il lavoro delle comunità terapeutiche analiticamente orientate aiutino le persone a lavorare sulle parti frammentate del Sé cercando di promuove processi riparativi e una maggiore integrazione, curando gli aspetti di identificazione proiettiva patologica e cercando di riparare la funzione di madre ambiente così ben descritta da Winnicott anche a proposito del L’uso dell’oggetto.

La riparazione interna e quella esterna debbono, per quanto possibile, essere armonizzate. Qui la visione psicoanalitica mi pare più profonda (ma anche più ambiziosa) di quella legata al risultato comportamentale come punto di partenza e non come punto di arrivo. Ho provato un senso di ammirazione verso alcune Assistenti Sociali del Ministero di Giustizia che hanno supervisionato e fecondato il cammino di alcuni giovani per due, tre o quattro anni fornendo una disponibilità telefonica pari a quella di un medico di un pronto soccorso. Sarebbe anche interessante paragonare le elaborazioni interiori stimolate da questi programmi (talora apparentemente efficacissime) con quelle dei gruppi psicoanalitici. Forse potrebbe essere promosso un reciproco arricchimento.

Sul concetto di responsabilità potremmo notare che esso corrisponde alla consapevolezza di Sé e degli effetti che ognuno può avere nella interazione con l’oggetto. Nella cultura anglosassone viene fatta una distinzione tra il termine “accountability” e quello di “responsability” non ostante che entrambi i termini vengano tradotti in italiano con la parola “responsabilità”. Nei seminari del Tavistock Institute of Human Relation si fa molta attenzione nel dire che la accountability è un rendere conto dell’ammanco economico mentre la responsability è una responsabilità intima e personale in stretta relazione con l’identità della persona (Schwartz, 1984). In questo caso la responsabilità è legata alle caratteristiche di un senso morale (Super Ego) relativamente sano, alla consapevolezza identitaria di sé e delle conseguenze delle proprie azioni.

Anche nella concezione francese (Hoffmann, 2007) la responsabilità è un concetto condiviso tra legalità, moralità e personalità.

Potremmo quindi dire che la psicoanalisi ci può essere di grande aiuto nel comprendere l’essenza profonda del processo riparativo.

Questa consapevolezza analitica è preziosa per una attività riparativa che possa essere più affettivamente elaborata e interiorizzata al di là degli apprezzabilissimi cambiamenti operativo comportamentali promossi dalle altre forme di psicologia comportamentale sopra descritte.

Gianluca Biggio, psicologo, psicoterapeuta psicoanalitico, psicosociologo

E-mail: biggio@unitus.it

Bibliografia

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[1] È utile specificare che in America e Canada veniva usato il termine Restorative Justice mentre in Europa si utilizzava quello di Reparative Justice. Il focus dell termine restorative si concentra sul riparare o correggere ciò che è rotto o danneggiato, mentre il termine reparative si concentra sulla concezione di rinnovare o rivitalizzare qualcosa.

 

 

© Vecchiarelli Editore – Tratto da “Raccolta Articoli Scientifici 2023- ” – ISBN 978-88-8247-45x-x

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