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A scuola ricominciando dall’entusiasmo – Paolo Fradeani

Paolo Fradeani

Abstract

Da una parte ancora la scuola a far da ponte o da cerniera tra l’incapacità di questa società adulta a saper ascoltare e operare scelte efficaci e dall’altra il bisogno dei giovani che faticano a dare sostanza alle loro attese, a trovare contenimento affettivo ai loro timori e ai loro disagi ininterrotti e spesso devastanti. Una risposta sul piano sociale potrebbe risiedere nel saper rintracciare queste istanze e interrogarsi sull’allentamento dei vincoli educativi e sulla difficoltà di non riuscire ad esprimerli con la giusta autorevolezza ed empatia. Una nuova Paideia che sappia ricominciare dal saper incontrare l’altro, in un dialogo umanizzante del “prendersi cura”.

Indagare l’universo Scuola nelle sue tante complessità e contraddizioni offre molteplici spunti di riflessione soprattutto se il tentativo è quello di porre una lente di ingrandimento su aspetti legati al comportamento adottati dai giovani all’interno della loro comunità scolastica e attraverso i quali esprimono il loro mondo emotivo.

I fatti da cui traiamo spunto si riferiscono ai gravi episodi accaduti in questi ultimi mesi nei perimetri scolastici. Nel maggio scorso in un istituto superiore di Abbiategrasso uno studente di 16 anni accoltellò la sua professoressa. Queste ultime settimane ancora due aggressioni nei confronti di insegnanti: in un Istituto comprensivo di Cosenza due genitori colpiscono un professore che verrà poi ricoverato in ospedale; mentre in un altro Istituto di Bari un 17 enne ha fatto esplodere un colpo con una pistola caricata ad aria compressa contro il suo insegnante. E pochi giorni fa ancora i genitori a scagliarsi contro due Dirigenti scolastici di istituti pugliesi.

Gli accadimenti gravi che si ripetono con un’allarmante frequenza, rappresentano il fallimento dell’alleanza scuola-famiglia e portano con sé l’eco di un disagio profondo tutt’altro che isolato, come rileva una recente indagine effettuata da Skuola.net, – piattaforma di riferimento del settore educational (dedicata a studenti di scuola e università) e testata giornalistica specializzata in istruzione, formazione e tematiche giovanili, con circa 8 milioni di accesi unici al mese e oltre 6 milioni di utenti, tra il sito e i social.

Una rilevazione svolta su un campione di 1800 ragazzi e ragazze di scuola superiori interpellati dall’inizio di quest’anno, fotografa in tutta la sua ampiezza un quadro di problematicità non trascurabile; un dato su tutti ci dice che 1 studente su 5 sostiene di aver assistito ad uno scontro frontale tra un loro compagno e il professore, mentre si trovavano in classe. Spesso sono episodi sistematici e non isolati: il 70% sono aggressioni che si fermano sul piano verbale; il 18 % si manifestano con aggressioni fisiche e lancio di oggetti, faccia a faccia o mani addosso; il 12% con parole pesanti e affronti.

Sono dati che certificano l’aumento dei fenomeni di violenza verso i docenti e il 40% degli episodi a cui gli studenti hanno assistito sono stati ripresi con il telefonino e, spesso, sono stati addirittura “studiati” o esasperati per creare video da condividere sui social. Ad emergere è la figura dell’insegnante che sembra aver smarrito la sua aurea di inviolabilità. C’è da aggiungere però che forse il più delle volte alla base delle dispute potrebbero non esserci forti dissidi ma piuttosto la voglia di dare spettacolo e l’era digitale in questo rappresenta senz’altro un forte condizionamento. Il 40% dei ragazzi che hanno condiviso episodi violenti sostiene infatti che durante lo svolgersi delle vicende, qualcuno si è preoccupato di riprendere la scena e tra loro 80% sostiene che il più delle volte la “sfida” è stata creata, o perlomeno resa più scenografica, proprio per essere filmata e ciò spiega perché poi le immagini finiscono su un social network a disposizione di una platea allargata (56%), oppure su una chat scolastica (20%), o di classe (16%).

Dinamiche che consegnano l’immagine di un fenomeno sicuramente sottostimato e di non semplice comprensione anche perché molto spesso sono gli stessi docenti a contenere la questione entro le mura scolastiche; solo nel 15 % dei casi infatti l’insegnante coinvolge la presidenza. Tra gli studenti solo 1 su 5 si schiera dalla parte del docente. E i genitori in tutto questo? Solo il 22% delle volte si schierano da parte dell’insegnante; il 49% vuole prima valutare il caso e un 29% tende ad appoggiare il figlio a prescindere (a quest’ultima percentuale è dunque da ascrivere il grave fatto accaduto solo pochi giorni fa e riportato in apertura di questo articolo).

Emergenze educative 

Le numerose ricerche condotte sul mondo giovanile che si susseguono ormai ininterrottamente e che auguriamoci possano dettare scelte e politiche adeguate, tratteggiano ogni sfaccettatura delle criticità che lo attraversano, in un tempo così complesso. Ancora alcuni dati estrapolati da un’altra recente indagine condotta dall’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, Gap (Gioco Azzardo Patologico), Cyber bullismo) su un campione di 3062 ragazze e ragazzi tra i 11 e 19 anni, riferisce un mondo adolescente sotto stress, con oltre 6 ragazzi su 10 che avvertono ansia e pressione sociale e con un ragazzo su due che ha avuto almeno un attacco di panico. Anche i giovanissimi, specie dopo la pandemia, sono sempre meno abituati a confrontarsi con il contesto sociale che li circonda. Oltre la metà si sente a disagio nel frequentare situazioni collettive, come a scuola e i due terzi temono di doversi misurare con voti e valutazioni

Tra i più giovani inoltre, circa la metà soffrono di forme di disagio dovute al contesto in cui vivono e da qui scaturiscono attacchi di panico, alterazioni alle abitudini alimentari e del ritmo sonno veglia, difficoltà di concentrazione nello studio. Un terreno fertile in cui prolificano irrequietezze, solitudine, rabbia verso sé e verso gli altri. E la necessità di anestetizzarsi per non pensare apre ai giovani vie di fuga attraverso rifugi nel digitale, tra video giochi, serie tv e social media. Spesso anche gesti a volte drammatici ed estremi sono agiti dai più fragili, pur di separarsi da stati di tensione incontrollabili.

Il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, allarmato dai gravi atti subiti dagli insegnanti e da Dirigenti scolastici (che come si evince dai dati riportati dovremmo a questo punto considerare soltanto come punta dell’iceberg), ha espresso la sua preoccupazione per il momento particolarmente difficile in cui si evidenza un aumento del disagio dei ragazzi, anche a seguito del Covid e sottolinea la necessità sempre più impellente di uno psicologo di riferimento nelle scuole. Oltre però anche a richiedere la modifica di certe regole scolastiche partendo dal rivedere il voto di condotta e invocando la necessità delle sospensioni a cui affiancare la possibilità di attuare, in quel periodo, attività socialmente utili. Altre misure prevedono, in via di approvazione, una proposta di legge che mira ad inasprire significativamente le pene per chi commette atti di violenza, sia fisica che morale contro il personale scolastico. Inoltre in programma anche la costituzione di un Osservatorio nazionale sulle violenze a scuola e l’implementazione di nuovi progetti formativi.

Certamente quelle che esprime il Ministro rappresentano le prime istintive misure da adottare in una realtà così sofferente; così come l’introduzione di professionalità quale quella dello psicologo (che peraltro è già presente in molti Istituti attraverso lo sportello psico-pedagogico) potrà sicuramente giovare a quegli studenti che vorranno beneficiarne. Ma l’approccio per modificare un quadro di criticità così diffuso dovrà necessariamente esprimere, in una logica sistemica, contributi capaci di penetrare la comunità scolastica in termini culturali e di cambiamento. Dunque non solo agendo sugli effetti specifici di un disagio vissuto dalla persona e che, se non inserito in un processo più ampio, medicalizzerebbe ancor più il sistema scuola.

Dalle sensazioni personali raccolte in questo ultimo periodo, e sin dal termine del precedente anno scolastico, rilevo, tra gli studenti e gli insegnanti, l’emergere di evidenti sentimenti contrastanti.

Ma certo non è passando al setaccio la vita degli studenti che hanno commesso quei gravi atti o scrutando morbosamente ogni attimo di quei giorni drammatici che potremo sostanziare precisamente cosa stia accadendo nella scuola. Capire le motivazioni che scatenano tali comportamenti nei giovani, non può risolversi meramente davanti all’accertamento di un eventuale quadro clinico che ne chiarirebbe il funzionamento mentale. Ma è piuttosto la capacità di saper leggere e indagare in queste vicende il senso di una esposizione dei sentimenti (quasi in caduta libera) che non consente alcuna consapevolizzazione e che troppo spesso causa nei giovani un accecante distacco dalla realtà! Non saper maneggiare le proprie emozioni e disinnescarle con la superbia dei loro anni sembra quasi un voler cancellare o nascondere dai propri passi, tracce di un equilibrio detestato per non poterlo distribuire tra i sorrisi di una quotidianità. Appaiono come analfabeti emotivi ma dispongono di un incandescente stupore che tengono confinato lontano dagli occhi. Una contraddizione vivente questi giovani, con le loro inquietudini a basso costo (ma a forte impatto sociale) che non trovano corso in un mondo che lascia apparire solo frastuoni di immagini virali e sensazionalismi ispirati dai loro modelli che oggi sono rappresentati da influencers, youtubers, tiktokers e altri personaggi conosciuti attraverso i social media. E non basterà neanche, come più volte accennato in questi ultimi mesi, una nuova progettualità rivolta ad una più consapevole attenzione per una educazione ai sentimenti e alle relazioni che intraprenda il suo cammino sin dalla Scuola dell’infanzia. Il cambiamento dovrà essere culturale. Sarà piuttosto un processo che dovrà avviarsi, portando con sé tutti gli attori che agiscono in questa nostra società a partire dagli adulti – e dai genitori in particolare – che rappresentano oggi l’anello debole di questa architettura educativa. Una famiglia che non sa essere più di contenimento-sostegno e in cui si manifesta la difficoltà dei figli di spezzare una relazione simbiotica. Una genitorialità che appare come spazio incompleto, fiaccata dalle complessità di una emergenza educativa che non fa sconti e che la Scuola, se lasciata sola, non potrà risolvere.

Che il nucleo portante di questa sofferenza risieda nella fragilità degli adulti di riferimento, dunque genitori, insegnanti e tutti coloro che a vario titolo si relazionano con loro e che appaiono in una evidente difficoltà nell’accettare e contenere i segnali di un disagio sempre più evidente? Proprio dalla famiglia si origina più che mai quell’incompiutezza emotiva e relazionale che affligge i nostri giovani. Come accennato in un mio articolo precedente e di cui riprendo alcune righe: “Una famiglia in cui la solitudine è bandita e il “bambino capolavoro”, così come oggi viene descritto, è un bambino che deve essere nel più breve tempo possibile competente, felice, esperto in relazioni sociali e senza sofferenze. Un quadro perfetto che permea un affetto relativo ai suoi ambiti e attitudini, tali da divenire supporto gratificante per i genitori che su di lui sviluppano un forte investimento narcisistico, non sapendone sopportare gli affanni”.

Sembra che questa società voglia rimuovere tutte le cause di difficoltà che concorrono alla formazione umana del giovane, contribuendo ad accostare gli adolescenti ad una serie di valori collegati ad una idea narcisistica di sé e ad una cultura dell’immagine dove non si è nessuno senza il riscontro pubblico che crei un acceso consenso o una visibilità ben pubblicizzata. Un’adultità sempre più compromessa dalla inadeguatezza educativa e che stenta a sintonizzarsi con bisogni ed esigenze giovanili. E prende forma un’idea “iper prestazionale” dei figli dove non può esistere il fallimento come esperienza fondamentale per dare forma alla loro vita. Le risposte le ricaviamo nel vedere spesso gli stessi genitori accapigliarsi durante incontri sportivi dei loro figli oppure quando nella scuola si vestono dei panni di sindacalisti pur di non accettare certe osservazioni degli insegnanti.

Considerando che la recente pandemia abbia contribuito a modificare equilibri ed evidenziato fragilità del nostro vivere, è altrettanto inopportuno ritenere che addossare a questo evento la colpa di tutti i mali in cui è incappato l’adolescente oggi, sia l’unica spiegazione accettabile (quasi maneggiata pretestuosamente per alleggerire le responsabilità adulte). Non è infrequente la tendenza dei genitori ad una precoce adultizzazione dei ragazzi rispetto alla fase di crescita attraversata, con conseguente conflitto tra le richieste genitoriali e i desideri dei figli. Come se si volesse bypassare un tratto della loro vita mollando gli ormeggi di una tenuta educativa per non sapere controllare dinamiche e complessità che sopraggiungono nella fase delicata dell’adolescenza. E allora massima liberalizzazione delle condotte che stentano a identificarsi in atti intergenerazionali, fatti di limiti e abbracci, e al loro posto si aprono spazi di consenso spesso inadeguati perché tolgono ogni contenimento emozionale e relazionale, lasciando sempre più ragazze e ragazzi senza guide elettive.

Negli sportelli di ascolto presso i consultori o colloquiando con lo psicologo a scuola, i ragazzi riportano la difficoltà ad esprimere i propri bisogni e i propri sentimenti ai genitori, evidenziando una carenza di dialogo e di fiducia reciproca, così come una scarsa capacità di leggere le proprie emozioni. Ma spesso sono gli stessi genitori a chiedere aiuto, specialmente dopo la pandemia, in cui è notevolmente aumentato l’uso dei social network. Utile nel delineare gli aspetti di sofferenza della contemporaneità, gli spunti ricavati dal lavoro condotto dal Servizio di Psicoterapia familiare del Quadraro, un quartiere della periferia romana, molto popolare e multietnico, in cui emergono spaccati assai rappresentativi di questa società

Si parla oggi di “Pathological Internet Use” come un quadro con manifestazioni tipiche delle dipendenze. L’utilizzo di internet in tutte le sue accezioni ha indebolito le relazioni intrafamiliari specialmente nei casi in cui erano già critiche. Una sorta di tempesta perfetta che ha evidenziato la sofferenza dei genitori nel non sapersi confrontare in quel tempo così problematico. Da una parte si è determinata un’ampia area di carenza dei confini intergenerazionali, con le tante problematicità esplose durante il periodo del lockdown e dall’altra vi è stata la scoperta ulteriore, da parte dei ragazzi, di quel “reale virtuale” nel quale sommergere incomprensioni, frustrazioni e stati di angoscia più o meno latenti.

Quello a cui stiamo assistendo in questo ultimo periodo è un crescendo di aggressività con conseguente impatto anche sulla comunità scolastica che diventa sempre più cassa di risonanza delle tante complessità di questa società. E sempre più spesso docenti e genitori registrano comportamenti aggressivi ed esplosivi da parte di ragazzi e ragazze, come gli episodi di cronaca ci segnalano ormai quasi quotidianamente. Il proliferare di bulli e bulle specie nelle fasce più giovani (11-16 anni) rappresenta la casistica più ampia. Spesso è l’esposizione a modelli aggressivi, violenti o eccessivamente severi, come segnalano le attività di Sportello presso i consultori, a dettare ai ragazzi comportamenti attraverso i quali affrontare difficoltà e pericoli. Necessario comprendere le ragioni che spingono gli adolescenti a rispecchiare e agire atti aggressivi al fine di avviare con loro una relazione autenticamente empatica e con cui riuscire, attraverso l’ascolto dei loro progetti e desideri, alla rielaborazione di nuovi modelli positivi.

Aspetti che ci segnalano chiaramente come la gestione delle emozioni da parte dei giovani sia diventata una condizione su cui gli adulti, tutti, debbano riflettere attentamente.

E la Scuola sempre più diventa laboratorio privilegiato per sperimentare consistenze di futuri giovanili oggi più che mai compromessi dalla difficoltà di mettere a fuoco un orizzonte di realtà. La classe è un luogo di vita, uno spazio di relazioni e di incontri per imparare a comunicare con i propri coetanei e con gli adulti. Occasioni di crescita che spesso però si connotano di esperienze di sofferenza causate da fenomeni di prevaricazione e aggressività che emergono sempre con più abituale frequenza nella vita degli studenti. Una Comunità-Scuola in cui si definiscono scenari fatti di identità prospettive e bisogni diversi, in un equilibrio in costante dinamica. Una Comunità all’interno della quale possono svilupparsi situazioni di malessere o di conflitto che si configurano come elementi di disagio non solo negli studenti ma anche nel corpo docente e tra gli stessi genitori.

Ascoltando gli studenti in merito alle vicende a cui si accennava, le osservazioni raccolte sono molto diversificate; c’è chi non era a conoscenza del fatto perché non dedito all’ascolto dei telegiornali, chi è rimasto sgomento per l’efferatezza dei gesti e chi ancora lo spiega non giustificandolo ma comprendendo quel senso di rabbia coltivato dentro. Gli insegnanti in generale oltre allo sgomento per quanto accaduto si considerano “in trincea”, in una scuola che non sa produrre anticorpi necessari per schermarli da discrediti che subiscono sempre più frequentemente e che investono uno statu quo che sembrava inviolabile. E ritornano nei loro commenti lo sgomento per le aggressioni, verbali e non solo, subite da parte di certi genitori troppo spesso, come già detto, piuttosto sindacalisti e poco educatori dei loro figli!

Affiora così, sempre più esplicito, il malessere del corpo docente che esprime sconcerto per il senso di solitudine che spesso avverte specialmente affrontando le situazioni più critiche – ma non infrequenti – senza le dovute protezioni e privi degli strumenti necessari. Quello che si vuole evidenziare è uno spaccato di questa scuola che pur confrontandosi ogni giorno e con impegno con le tante complessità che l’attraversano, fatica a tenere il passo e lascia intravedere un malessere che combina assieme le incertezze di un ruolo educativo pressato da innumerevoli responsabilità e un disagio giovanile sempre più dilagante e che abbraccia le diverse fasce sociali. Una scuola che sembra restare sempre più sola a fronteggiare ogni genere di malessere giovanile.

Da parte degli studenti, le loro chiusure e le tante espressioni di un evidente disagio, marcano percorsi per molti a tratti afflittivi. Sempre dai dati dell’indagine di Skuola.net solo il 3% di loro si confidano con l’insegnante… e vorrebbero un bidello come psicologo! Molti anche gli studenti che si esprimono criticamente nei confronti del troppo controllo subito dagli stessi genitori attraverso il telefonino. Emerge dunque chiaro il desiderio dei giovani di avere a fianco un adulto che sappia ascoltarli e che non li giudichi. Per questo motivo molti di loro ritengono insoddisfacente il rapporto con gli insegnanti mai come oggi così irretiti da burocrazie e da energie indirizzate alla sempre più pressante necessità di compilare una mole infinita di documenti. Atti che li assorbono in un obbligo professionale sempre più amministrativo ma in cui si smarrisce quell’aspetto fondamentale del loro ruolo che si esprimeva attraverso la capacità nel saper avviare un’efficace dinamica relazionale, ricorrendo all’esercizio di una empatia controllata. Una sfiancante rincorsa a far quadrare i conti come tanti ragionieri del merito che toglie smalto alla loro originaria vocazione. Si determina così un progressivo aumento delle inadeguatezze del sistema che contribuisce, giorno dopo giorno, ad ampliare nella coscienza dei ragazzi spazi di disistima che li allontanano dal sentirsi concretamente parte di una comunità …e di questa società in cui si sostituiscono i destini con le carriere!

Molti tra gli studenti affermano di aver provato sentimenti di rabbia, e più di una volta, nei confronti di alcuni insegnanti per motivi legati ad incomprensioni, per l’ansia scaturita da un’interrogazione, per non aver ricevuto attenzioni significative in determinate occasioni o per aver letto nel comportamento dell’insegnante una scarsa considerazione del loro vissuto, del loro impegno. Una rabbia contenuta nelle sue manifestazioni ma che staziona lungamente negli animi dei ragazzi. E questo li distanzia da un apprendimento efficace perché ciò che si apprende, soprattutto in età giovanile, deve potersi legare ad una dimensione affettiva; la motivazione all’apprendimento si accosta familiarmente a quel viso di insegnante che sa trasmettere il piacere della conoscenza.

Si avverte invece quasi una sorta di contrapposizione che si stabilisce tra due schieramenti che non dovrebbero poter coesistere in una comunità educante in cui il collante si genera attraverso il senso di alleanza e di condivisione progettuale. A volte si osservano insegnanti barricarsi dietro un ruolo sempre più burocratizzato e che forse ha in parte svilito il loro compito educativo e formativo. Forse arrabbiati anche loro ed esausti per non poter con maggiori autonomie, esprimere una professionalità più libera e non relegata meramente ad atti amministrativi con cui dispensare voti e giudizi.

Che questa deriva stia corrodendo anche le loro motivazioni e dunque contribuisca ad un assetto che trova con sempre più difficoltà la strada dell’ascolto e della comprensione? Alterità sottoposta al vaglio della regolatezza programmatica? Un ruolo troppo esposto quello degli insegnanti oggi, forse anche a seguito dei rallentamenti imposti dalla pandemia e che ha obbligato il corpo docente a procedure di rinforzo, agite con modalità forse troppo rigorose e convenzionali; e forse a volte con atteggiamenti quasi di rivalsa nei confronti di un tempo in cui il ruolo docente va sempre più svanendo, in termini di consistenza e riconoscimento sociale. Di fronte a loro l’altro schieramento, quello composto da studentesse e studenti armati di dissensi affilati, a volte anche troppo e che maneggiano quasi come strumento di contrasto e distanziamento che questo tempo rende ancor più accentuato. Uno strumento troppo spesso padroneggiato incautamente, a causa di fragili e scoraggianti motivazioni.

Certo il ruolo del docente oggi non può essere letto con le stesse chiavi di lettura di alcuni anni fa. La società con il suo ampliamento tecnologico e le sue inarrestabili progressioni ha dettato nuove regole e la conquista delle giuste declinazioni, in termini formativi e culturali, rappresenta inevitabilmente la sfida su cui procedere. Molti gli sforzi compiuti e la capacità di adattamento degli insegnanti dimostra la determinazione sviluppata ma al tempo stesso riflette le difficoltà che ogni giorno circa 900 mila “prof.” intrecciano nel rapporto con i loro discenti.  Se la dimensione dell’educare rappresenta un punto nodale per traghettare le nuove generazioni verso un futuro credibile, sarebbe altrettanto importante dotare le energie adulte di maggiori competenze psicologiche e pedagogiche con cui rintracciare più agevolmente le reali esigenze giovanili.

Dai lavori condotti da alcuni consultori familiari che operano nel Comune di Roma, si evidenzia un dato che stabilisce come la pandemia da Covid -19 abbia rappresentato uno spartiacque tra “un prima e un dopo” e non solo tra gli adolescenti. Se prima le problematiche erano piuttosto legate a rendimenti scolastici, ansie prestazionali e alcune difficoltà all’interno della famiglia, oggi nel “dopo pandemia” ci si confronta con un disagio sempre più profondo e multidimensionale. La problematica ha attraversato trasversalmente ogni fascia di età dimostrando come eventi incontrollabili e improvvisi possano modificare, e di molto, gli equilibri del nostro status psicologico. Le fasce più esposte allo stress emotivo hanno maggiormente riguardato preadolescenti, adolescenti e giovani adulti con forti incidenze di fenomeni depressivi, stati ansiosi, disturbi del sonno, tendenza al ritiro e comportamenti dirompenti. E dal confronto con gli insegnanti sul rendimento scolastico dei loro studenti, emergono le grosse difficoltà di attenzione e un netto calo dell’impegno.

La maggioranza degli studenti che giungono allo sportello di ascolto scolastico o presso i consultori nello spazio giovani presenta difficoltà nell’area dell’autostima che causa paure e fobie, problemi interpersonali, ansia e insicurezza. Si rileva inoltre tratti marcati di dipendenza dal giudizio altrui e mancata realizzazione delle proprie potenzialità.

Far fronte alle nuove istanze che interpellano il mondo-scuola è saper considerare soprattutto il denso mondo emotivo giovanile fatto di quelle sofferenze oggi forse più intense di ieri a causa dei cambiamenti intervenuti e dei disagi provocati anche dalla recente pandemia. L’estrema permeabilità emotiva che caratterizza l’adolescenza, la rendono oggi anche a causa del riacutizzarsi della conflittualità edipica e del complesso processo di separazione–individuazione, una fase della crescita assai turbolenta e caratterizzata da una fragilità quasi alessitimica.

Adolescenti nel pieno di un conflitto emozionale in cui si manifestano accentuazioni delle emozioni negative e disforiche, marcate ambivalenze emotive e un elevato livello di intensità e labilità affettiva, a testimonianza delle difficoltà connesse alla strutturazione del senso di identità e alla costruzione di una rappresentazione di sé in cui integrare aspetti differenziati e discordanti ( Montemayor, Eberly e Torquati, 1993).

Giovani studenti sempre più impacciati nel padroneggiare i sentimenti e che non trovano nell’adulto quel riferimento capace di orientali e interessarli …oltre alla regolarità delle programmazioni ministeriali. Di frequente viene rilevata la difficoltà a far ricorso ad abilità di problem-solving con una conseguente visione poco ottimistica se non sconcertante della realtà. Il dato emerso con forza dal lavoro condotto dagli sportelli scolastici e dei consultori è che i ragazzi chiedono attenzione, riconoscimento e spazi in cui esprimersi. E i modi a volte poco adeguati e funzionali con cui si esprimo possono essere collegati al bisogno di “farsi vedere a tutti i costi” specialmente in quelle aree di sofferenza sociale dove questo diritto è maggiormente negato e dove sempre più frequentemente il desiderio non è vissuto come vocazione ma come capriccio. Una forma di nuovo divismo distruttivo giovanile, frutto forse di una consacrazione della vita troppo esteticizzata, sta via via estendendosi trovando sempre più giovani propensi a lasciarla attecchire al loro animo.

Il divismo distruttivo giovanile che propaga la sua onda emulativa tra i giovani di oggi, indipendentemente dal ceto social, letto con le parole di Winnicott consente di vedere nella tendenza antisociale un sintomo di speranza alla quale si un unisce la capacità di saperli riconoscere ed affrontare. La condizione dell’adolescenza come sosteneva Erikson, si caratterizza come fase della vita, unita ad un grave sentimento di delusione che consegna i ragazzi ad atteggiamenti di disistima, prevaricazione e rabbia. A. M. Nicolò, nel suo lavoro “Adolescenza e Violenza” ritiene fondamentale oggi intervenire con strumenti psicoanalitici nella comprensione di questi fenomeni giovanili così eclatanti, “…la psicopatologia dell’adolescenza mostra che i disturbi che hanno origine in questo periodo della vita possono essere analizzati come espressione di una divisione del soggetto con se stesso. Il soggetto rifiuta una parte di lui, vissuta come possibile alienazione verso i diversi oggetti d’investimento, mentre la condotta di rifiuto gli permette di affermarsi in una identità negativa che non deve niente all’oggetto”. Un concetto che ritrovo nell’ultimo lavoro di Tito Baldini “Il mondo salvato dai ragazzi indifferenti”. Aspetti che puntellano nel loro animo il senso del vivere al limite e che si rintraccia anche in quegli studenti che sperimentano la propria efficacia distruttiva per anestetizzare un dolore. Per ognuno di loro occorre mettersi all’ascolto di quel loro ritmo che scandisce il sommerso di un disagio. Solo ponendosi all’ascolto di quel ritmo, osservandolo e imparando a maneggiarlo, si può ridurre l’inquietudine e trasformare in energia progettuale quel bisogno di crescita e quelle istanze spesso urlate in silenzio dalle tante ragazze e ragazzi che come del tutto nuova categoria umana “di normali disadattati”, appaiono sganciati rispetto all’uso di regole e condotte civili. La capacità di ristabilire un dialogo che consenta la comprensione di un mondo giovanile che gli adulti spesso non comprendono, rappresenta la scommessa vitale di questo tempo.

La famiglia, ago della bussola

 Dei molti fattori che contribuiscono alla costruzione di atteggiamenti violenti nei giovani, il funzionamento della famiglia è di certo fondamentale per rintracciare il senso di certe azioni. Ed è proprio in questo spazio sociale primario che si evidenziano le prime impreparazioni nel sapere accompagnare il processo adolescenziale, nei suoi drammatici cambiamenti; condizionati per altro dalle trasformazioni imposte dalle fisiologiche leggi della pubertà che consentiranno l’approdo all’età adulta. Ed in essa che riverbera il senso di una violenza che trasporta in sé il vissuto di ogni suo membro e la sua cultura affettiva originaria. Sono spesso famiglie dominate da modelli caratterizzati da umiliazione e obbedienza al più forte. Un fenomeno emergente in questi anni, come dimostrano i dati internazionali e nazionali è quello riferito alle condotte violente agite dai figli nei confronti dei loro genitori. Condizione sottovalutata nelle sue dimensioni e non riducibile a una fisiologica trasgressività adolescenziale, ma presente nelle famiglie multiproblematiche (comprese quelle composte da coppie genitoriali fortemente conflittuali) e spesso occultata dietro diverse diagnosi ( antisocialità, disturbo borderline di personalità, tossicodipendenze, esordio psicotico, disturbo bipolare). Come viene oggi descritto il “parental abuse” in adolescenza è spesso l’effetto di una particolare declinazione dei ruoli affettivi. Anna Freud, osservando i meccanismi di difesa degli adolescenti, aveva ipotizzato che l’odio verso i genitori rappresentasse il rovesciamento del legame, una modalità per distanziarsi da una relazione di dipendenza, nell’incapacità di acquisire una concreta autonomia. E la rabbia, come descrive Virginia Suigo, autrice del libro “Figli violenti”, spesso nasconde emozioni di segno opposto e comunica una disperazione di cui l’adolescente può non essere del tutto consapevole. Un mainstream culturale potrebbe altresì dettare alcune delle cause di questa violenza dei figli nei confronti dei genitori e non appartenere a casi isolati. Quasi un disturbo etnico della nostra epoca (Gordon.1990), come lo sono i disturbi che scaturiscono dal comportamento alimentare (Riva. 2009) o da un grave ritiro sociale (Lancini. 2019) e che esprimono le contraddizioni e le angosce della società in cui viviamo.

La vulnerabilità e il sentirsi in balia di sé stesso scatta spesso quando i genitori dimostrano di non avere il controllo della situazione. La dinamica che scaturisce dall’adozione del codice materno e paterno sono rappresentati storicamente in modo diverso per cultura e individualità ma il compito fondamentale rimane quello di declinare le funzioni di accudimento e di guida, per favorire le istanze di separazione e individuazione del figlio. Significa soprattutto avere fiducia e saper attendere, senza pretendere troppo e per questo che negoziazione e compromessi sono assolutamente fondanti. Il fine ultimo è aiutare i figli a diventare individui responsabili, autonomi, capaci di compiere delle scelte e di risponderne. Senza paura di perdere la funzione evolutiva del conflitto che non deve essere necessariamente aggressivo o violento se espresso affinché svolga un compito adattativo che lasci emergere la necessità di un cambiamento della relazione. Al contrario invece, se rimane inespresso o soffocato da sensi di colpa, rischia di irrompere in modo aggressivo. Genitori che si prodigano perché non manchi nulla e perché i figli crescano contenti comporta il rischio di confondere l’obiettivo della crescita con quello della felicità. Ed è una situazione in cui troppo spesso si rischia di incappare, pensando che così facendo la strada sia solo in discesa!

Ma è soprattutto la dimensione affettiva non deve essere mai negata perché è in quel calore che risiede la capacità di arginare e risolvere conflitti. Inoltre punire non basta; le punizioni e le restrizioni forniscono uno sfogo a tensioni e frustrazioni per lungo tempo accumulate. Queste illudono il genitore di avere ristabilito i ruoli e impartito una lezione ma la letteratura è unanime nel delineare l’inutilità, se non la dannosità a medio e lungo termine, come strumento educativo prevalente. Dal punto di vista psicologico le punizioni difficilmente favoriscono l’interiorizzazione di norme positive di comportamento e promuovono risentimento, desiderio di vendetta e ribellione e in generale sfiducia nei confronti delle figure adulte. Ciò che sarebbe indispensabile fare riguarda lo sguardo con cui osservare i figli per andare a fondo del loro cuore, e al di là del dolore che provocano spesso con i loro risentimenti o i loro atti aggressivi. Il tempo in cui viviamo segna il dilagare di un malessere psicologico transgenerazionale e riuscire a contenere i conflitti, ovunque essi si determinino, anche con l’aiuto di terapeuti familiari, può consentire di ripristinare la genitorialità e adattarla alle circostanze del ciclo di vita della famiglia.

Conclusioni 

Canalizzare l’aggressività in una energia vitale significa sempre più lavorare sul disagio di cui ogni ragazzo si fa portavoce ed è possibile disinnescando comportamenti violenti, autodistruttivi e intimidatori, sostituendoli con nuove modalità di espressione di sé e rispettose dell’altro. Così come il lavoro nel gruppo classe condotto dall’insegnante o da esperti può rappresentare un momento prezioso per potenziare il livello di benessere dell’intera comunità scolastica. In questo processo è altresì necessario investire sulla componente dei genitori al fine di imprimere valore ad un patto educativo scuola – famiglia senza il quale rimarrebbe inefficace un riallineamento ad un modello che sviluppi consapevolezza e senso sociale.

Ricercare in ogni adolescente le sue qualità positive individuali rafforzerebbe in lui il recupero di una visione realistica e benevola di sé, rivelando nella maggior parte dei casi aspetti sufficienti a far sì che gli studenti inizino a percepirsi in maniera più realistica e dunque a rendersi soggetti maggiormente attivi nel raggiungere i propri obiettivi e il proprio benessere. Di grande supporto dunque all’interno del contesto scolastico la figura di un esperto competente che nelle modalità più opportune possa promuovere il benessere degli studenti e agevolare il compito sempre più complesso del corpo docente.

Senza alcun dubbio le criticità riscontrate durante la pandemia hanno fatto esplodere le grandi contraddizioni legate a modelli educativi non sempre in perfetta sintonia con le necessità dettate dai cambiamenti. Ma al tempo stesso però gli stessi eventi possono rappresentare straordinarie opportunità di cambiamento e riallineamento. E la Scuola, a seguito della pandemia, ha saputo indossare nuovi abiti confrontandosi con la difficoltà di una didattica a distanza che ha permesso alla comunità scolastica di essere tale varcando le sue mura ed entrando nelle case dei suoi studenti. Capovolgendo di fatto un sistema tradizionale che altrimenti non si sarebbe potuto sperimentare e adeguandosi in tempi strettissimi alle impellenze dettate dal momento. Una Scuola dunque che ha dimostrato la capacità di saper aderire a nuove e complesse richieste, alimentando e sostenendo in quei lunghi mesi un processo di attenzioni e apprendimenti che viaggiavano quotidianamente su un doppio binario “dal docente al discente e viceversa”. L’educativa della maieutica socratica torna così a echeggiare alla ricerca di quel ritmo che è dentro ogni ragazzo e con cui riuscirono a confrontarsi Don Milani, Maria Montessori e i tanti educatori illuminati, capaci di lasciarsi invadere vivendo nel ritmo della persona dell’altro, dentro la prepotenza dell’anima che alberga nel suo cuore.

Forse questa la sorgente da cui attingere per intraprendere una nuova governance scolastica che pur non prescindendo dal processo insegnamento-apprendimento, cardine insostituibile nella determinazione del sistema scolastico, supporti efficacemente l’operato dell’insegnante anche con una formazione specifica sulla conduzione dei gruppi classe in età adolescenziale, li tuteli nelle loro scelte educative e garantisca loro un percorso impegnativo ma non frustrante e demotivante come molti convintamente sostengono. “L’educazione è una forza debole” come scrive Edda Ducci nel suo ultimo quaderno di preziose riflessioni sugli aspetti della filosofia dell’educazione e attraverso cui ci porta ad interrogarci sul senso del camminare insieme, curando attraverso il vivere nell’altro. In un tempo da apprezzare e da gestire con oculatezza e dove l’essere umano è scandito fondamentalmente dalle relazioni attraverso cui raggiungere le emarginazioni più dolorose e profonde. “L’essere adulto comporta una conquista, un approdo, qualcosa che ci si deve prefiggere e specificatamente volere. Il cammino deve essere orientato al senso dell’umano e della sua misteriosità per essere padroni del nostro tempo educando all’amore. Il fine è realizzare l’umanazione attraverso l’educazione, pena il dilagare dell’emarginazione e della disumanizzazione”

Passi da compiere nell’immediato futuro affinché nella Scuola e nella Società possa edificarsi una cultura che sappia costruire dall’entusiasmo e si dimostri capace di rappresentare ad ogni giovane un futuro da attendere con fiducia.

 

E-mail: pafrade1@virgilio.it

 

Bibliografia 

Alessitimia e adolescenza: studio preliminare di validazione della TAS-20 su un campione di 360 adolescenti italiani; Infanzia e Adolescenza – Vol.6, n. 3, 2007)

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Baldini T., Il mondo salvato dai ragazzi indifferenti; Vecchiarelli Editore,2024

Bartolomei, Boccanera, Lania, Famiglie e coppie fragili; Marcianum press,2023

Bruner J., La cultura dell’educazione; Feltrinelli, 1977

Catarsi E., La relazione d’aiuto nella scuola e nei servizi socioeducativi; Edizioni Del Cerro, 2006

Ducci E., Sui temi dell’umano; EA Anicia,2021

Dewey J., Natura e condotta dell’uomo; La Nuova Italia, 1965

Frabboni F, La sfida pedagogica; Erickson,1999

Fradeani P., Genitorialità e famiglia per un nuovo tempo; Rassegna dell’Istruzione, Le Monnier, N.5, 2011

Galimberti U., Paesaggi dell’anima; Universale Economica Feltrinelli,2021

Nardone G., Emozioni, istruzioni per l’uso; TEA, 2019

Nicolò Anna M., Adolescenza e violenza. Il pensiero scientifico editore,2009

Marcelli D., Il bambino sovrano, Raffaello Cortina Editore, 2004

Previtali D., La scuola con valore sociale, Tecnodid Editrice, 2007

Suigo V., Figli violenti; Franco Angeli Editore,2021

Recalcati M., Il complesso di Telemaco; UEF,2014

Ruggiero M.A., Ascoltando l’infanzia, Ed. SEAM, 1999

Reichenberg L. W., DSM-5, L’essenziale Guida ai nuovi criteri diagnostici; Raffaello Cortina Editore, 2021

Risè C., Il padre, l’assente inaccettabile; San Paolo,2003

 

© Vecchiarelli Editore – Tratto da “Raccolta Articoli Scientifici 2023- ” – ISBN 978-88-8247-45x-x

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Andres
Andres
1 mese fa

Capolavoro di Paolo Fradeani che ancora una volta coglie l’attimo con le sue profonde e centrate riflessioni sul problema, il problema fondamentale, la salute dei giovani, cioè la salute del futuro, la salute della pace, dell’umanità, del mondo.
Grazie Paolo per portarci per mano su questo tuo cammino.

Paolo Fradeani
Paolo Fradeani
1 mese fa
Reply to  Andres

Grazie Andres, la scuola consente quell’ascolto attraverso cui rintracciare quelle istanze giovanili profonde. Un lavoro costante ed entusiasmante che dovrà però essere necessariamente sostenuto anche da altre forze sociali. Buon lavoro

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